Alexander McQueen: in cantiere il biopic del genio visionario

Da qualche giorno, circolano voci circa la possibilità di un progetto cinematografico che racconterà la vita dell’eccezionale provocatore e talentuoso designer britannico. 

Da tempo atteso e chiacchierato, il biopic su Alexander McQueen sembra avviarsi verso la concretizzazione con la regia di Oliver Hermanus, che al momento però sta lavorando ad un gay romance, con protagonisti Paul Mescal e Josh O’Connor

Raccontare il genio ineguagliabile e la profonda e delicata sensibilità di McQueen è un’impresa assolutamente complessa, ma l’augurio è che chi proverà davvero a cimentarsi in questo progetto riesca ad andare oltre le mere apparenze di un mondo patinato, fatto comunque da essere umani fragili e imperfetti.

L’hooligan della moda

Noto per le sue collezioni controverse, presentate attraverso fashion shows performativi e teatrali più che attraverso consuete sfilate, Alexander McQueen è stato l’hooligan della moda e poi, per quattro volte dal 1996 al 2003, il British Designer of the Year. Un talento esagerato, insaziabile, che si è orientato nel suo tempo interpretando le tracce lasciate dalle icone del passato.

Nato nel 1969, era conosciuto nel mondo della moda come Lee: lasciata presto la scuola, a sedici anni inizia a lavorare in Savile Row, dove impara le basi del mestiere e apprende i segreti dell’alta sartoria, e successivamente, a Milano, da Romeo Gigli. Terminata anche l’esperienza in Italia, decide di completare la sua formazione frequentando il Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, sua città natale, ottenendo l’immediato supporto e riconoscimento da parte di una delle più grandi icone della moda britannica, Isabella Blow, che nota il suo talento proprio in occasione della sfilata di fine anno al college.

La collezione presentata come tesi è intitolata “Jack lo Squartatore perseguita le sue vittime”, un’allusione al famoso serial killer britannico. “Non mi importava di quello che la gente pensava di me, non mi importava di quello che pensavo di me stesso. Così ho tirato fuori il mio lato oscuro e l’ho messo in passerella”, aveva dichiarato il designer.

Carriera

Nel 1992 fonda la propria Fashion House, ma le sue provocazioni eccentriche e talvolta scandalose gli fanno guadagnare l’epiteto di enfant terrible.

Dal 1996 al 2001 è direttore creativo di Givenchy, maison con cui instaura da subito un rapporto complesso, inasprito dalle espressioni colorite che utilizza per definire sui media i tessuti e i ricami francesi. Proprio qui, però, gli è permesso di dare maggior sfogo alla sperimentazione e alla ridefinizione dei canoni stilistici del marchio, dove introduce un approccio al prodotto che sarà tipico dei designer più innovativi dei primi anni Duemila.

Conclusa l’esperienza con la maison parigina, si dedica completamente al suo label, ideando collezioni e sfilate shock che hanno contribuito a traghettare il gusto collettivo fuori dall’estetica minimalista imperante, manifestando una naturale propensione alla ribellione e alla volontà di scioccare. 

Le collezioni che hanno fatto di lui un talento indimenticabile

Tra le collezioni più iconiche e le sfilate indimenticabili di Alexander McQueen c’è Highland Rape del 1995, ispirata dall’abuso di potere compiuto dall’Inghilterra sulla Scozia. Le modelle indossavano abiti di pizzo strappato e spruzzate di sangue finto, insieme al tartan scozzese, ai tessuti trasparenti e gli iconici pantaloni a vita bassa. È stato più volte accusato di misoginia, ma ha sempre affermato il suo obiettivo di conquistare le donne. Lui stesso ha detto di questa collezione: “Voglio che la gente abbia paura delle donne che vesto”.

Dante

Dante del 1996, irriverente inno grunge in versione Couture, presentava pantaloni e jeans unici, corsetti ispirati al XVIII secolo e maschere per gli occhi con Gesù applicato in un’ambientazione drammatica della chiesa londinese e uno scheletro seduto tra il pubblico.

Joan

Joan del 1998 canalizza la tragica figura femminista nella storia di Giovanna d’Arco. I capisaldi della collezione includono maglie ispirate alla cotta di maglia, abiti stampati con immagini Romanov, fronti allungate alla regina Elisabetta I e lenti a contatto con gli occhi rossi abbaglianti.

No. 13

No. 13 del 1999: una sfilata degli anni ’90 per eccellenza, con una svolta, e una collezione apparentemente monocromatica con abiti in rete, raso grigio attillato e ricami delicati che diventa presto uno spettacolo tecnologico nel finale dello spettacolo. L’abito bianco senza spalline della modella Shalom Harlow, che girava su un tornello, viene spruzzato di vernice da due robot che si sono attivati alla fine della sfilata ai lati della passerella. 

Plato’s Atlantis

Plato’s Atlantis del 2010 è stato l’ultimo show di McQueen, visione di un mondo sottomarino come conseguenza del cambiamento climatico, ambiente di un laboratorio di ricerca: le modelle si trasformano in esseri ibridi alieni, il trucco diventa protesico e ai piedi indossano le sorprendenti calzature armadillo.

La tragica fine

Rabbia, romanticismo, buio e malinconia hanno sempre fatto parte del suo lavoro.

La provocazione è stata la mera trasposizione delle sue stesse paure e inquietudini, incanalando le sue tensioni psicologiche in un’immensa forza creativa.

Geniale, timido e profondamente sensibile, Alexander McQueen non è più riuscito a sopportare il peso del suo talentuoso estro, quando ha perso le due persone da lui più amate, sua madre Joyce e la sua musa nonché migliore amica Isabella Blow, e si è tolto la vita.

Arianna Chirico

Foto: Pinterest